Ognuno di noi ha la sua zona confortevole, una situazione fisica, emotiva, psichica dove si sente a proprio agio, dove si rilassa completamente, dove riesce a guardarsi davvero dentro.
Rovistando, anche nel proprio torbido, in quella comfort zone si riesce a dirsi e a viversi in ogni sfumatura, guardandosi le estremità e le vergogne, concedendosi carezze e pacche di apprezzamento.
Un luogo nascosto, mentale più che fisico, in cui ci andiamo a nascondere, a riparare, lontano da sguardi indiscreti, forti delle spalle coperte dalla sicurezza che quel ventre immaginario ci concede.
Mi è capitato di osservare come molte persone creino questa zona confortevole attraverso la propria ombra, cioè nascondendo allo sguardo altrui una parte del proprio quotidiano. Ipotizziamo una persona che invece di stare frontale all’altra si gira di qualche grado verso un lato, creando così un vero e proprio cono d’ombra non visibile all’interlocutore.
Psichicamente potremmo definirla una modalità di evitamento positivo perché non limita la relazione ma al contrario, almeno in una fase iniziale, è ciò che rende l’individuo più sicuro di sé e quindi maggiormente predisposto alla comunicazione.
Ipotizziamo però che questo movimento sia continuo e che, magari sotto stress possa essere anche accentuato. Immaginiamo quindi la persona che, non riuscendo a gestire il momento di difficoltà, tenda ad aumentare la zona d’ombra dove potersi rifugiare fino a non tenere più lo sguardo nel campo visivo dell’altro. Ipotizziamo anche che questa modalità diventi abitudine e che non sia solo un atteggiamento, errato, nella situazione di difficoltà.
Si comprende come quello che poteva essere un comportamento utile diventi un’alibi pericoloso. Quell’ombra confortevole, quello spazio dove i colori si attenuano e dove forse anche il dolore diventa gestibile del tutto, rischia di essere una gabbia dove potremmo rinchiuderci.
Le zone di confort devono essere ben illuminate, non nascere su ambiguità o veti. Facciamo attenzione quindi a non creare troppe ombre, al contrario puntiamo un riflettore su quello che ci regala momenti, anche lunghi, di consapevolezza.
pubblicato su www.psicologionline.net