Il fenomeno del bullisimo diventa ogni giorno più attuale, richiamato dai giornali di tutto il mondo, raccontato attraverso i drammi di adolescenti che abbandonano la vita perché non abbastanza forti per sopportare il dolore e la vergogna, le ingiurie e la violenza dei propri compagni o di adulti non in grado di accompagnare i giovani durante il percorso di crescita.
Il bullismo si declina così in cyber-bullismo quando viene attuato sui social network, nelle chat e nei gruppi in rete, oppure diventa bullismo di genere e omofobico quando le vittime sono prevalentemente bambine oppure adolescenti omosessuali. Quando cioè l’adolescente è in piena trasformazione, fisica e psichica, quando la scossa ormonale modifica radicalmente le emozioni e le pulsioni, fra quelli che esternalizzano le difficoltà del tutto naturali del momento di vita sono quelli che divengono bersaglio di altri individui.
Perché accade questo?
Si tratta solo di violenza?
Non affronteremo il tema didatticamente ma porremo la lente proprio sulla relazione vittima – bullo e sul perché questo accada.
Molte teorie sociali (cfr. etichettamento) identificano stereotipi e pregiudizi a ruoli ben stabiliti. Essere vittime o essere bulli quindi fa parte di un processo di condizionamento più ampio. Una vittima, per essere tale, deve anche sentirsi vittima, colpevolizzata, in difficoltà e quindi è probabile che un evento traumatico non faccia altro che amplificare questa necessità di conferma.
Una assonanza cognitiva, potremmo definirla, che porterà la vittima a cercare situazioni che confermino il suo status e, in modo capillare, persone che possano essere il bullo, il violento, il “problema” che farà permanere la vittima in uno stato di emergenza costante, riconoscendosi nel ruolo di vittima, con tutto ciò che ne consegue.
Allo stesso modo ogni bullo ha bisogno di una vittima per essere tale. Un adolescente è violento quando può manifestare la sua violenza, la sua rabbia, la sua necessità di comunicare al mondo il suo ruolo sociale, quello che si è scelto, che gli è stato attribuito o che, probabilmente, ha imparato dalla vita ad agire nella società.
Essere vittime. Essere bulli. Due facce della stessa medaglia.
La prevenzione e l’informazione verso i ragazzi è fondamentale. La formazione e la consulenza per le famiglie e gli insegnanti è strategica. Non dobbiamo però dimenticare l’aspetto psicologico strutturale dell’individuo. Perché è in questo aspetto che possiamo trovare le motivazioni più profonde dell’agire ruoli sociali ben disegnati e stereotipati.
Dobbiamo essere capaci di leggere i contesti ed i sistemi di relazioni in cui i due protagonisti interagiscono e guardare con una lente molto più ampia del semplice rapporto biunivoco ciò che accade. Le variabili da prendere in considerazione sono spesso comportamentali e culturali e, seppur appaiono di poco valore, sono predittive di fenomeni violenti.
Come comportarsi?
Davanti ad un fatto conclamato è necessario ricorrere ai ripari. Ascoltare le storie di sofferenza, parlare a cuore aperto, accogliere e ridare feedback di serenità e di pace fra le vittime e chi commette azioni violente. Vittime anche loro, probabilmente, di un sistema dove essi stessi sono stati vittime. La consulenza psicologica permette di affrontare un momento delicato e critico e di ripristinare relazioni pacifiche e positive.
Dovrebbe però far parte della formazione degli educatori, dei genitori e dei programmi scolastici in senso più ampio, l’approccio all’altro come arricchimento e come possibilità invece che di obiettivo di atti violenti. Bisogna intervenire prima, con la parola, con l’educazione al rispetto e soffermarsi sugli eventi e sulle emozioni che potrebbero portare il bambino a crescere come adolescente sofferente o come bullo oppure a diventare domani una donna picchiata da un uomo, che si è scelta, despota e manesco.
Vi è un filo comune che mette insieme tutto questo e, come un bullone, deve essere svitato, allentato, messo in condizione di non creare tragiche fatalità.
pubblicato su www.psicologionline.net